E se ci entrasse anche un po’di filosofia?
Come è ben noto, il requisito dell’attività inventiva che un’invenzione deve possedere per potere essere ammessa alla brevettazione è da sempre uno degli argomenti intorno al quale più si è scritto e discusso nel campo dei brevetti.
D’altra parte è evidente a tutti l’importanza non solo teorica, ma anche pratica di questo argomento, se solo pensiamo al fatto che nella procedura d’esame di una domanda di brevetto il più delle volte vengono sollevati problemi di sufficienza o meno di attività inventiva, che quindi è necessario affrontare e discutere con gli esaminatori, al fine di difendere e portare onorevolmente a casa il brevetto. Ora la questione della presenza e della valutazione dell’attività inventiva si pone solo dopo avere preliminarmente stabilito la sussistenza della novità ed, una volta posta, essa è direttamente collegata per un verso all’estensione e alla rilevanza delle differenze, segnatamente tecniche, fra l’invenzione che si vuole brevettare e l’arte nota nel suo complesso, e per un altro verso alla capacità da parte del tecnico esperto nel ramo di coprire queste differenze tecniche per arrivare così all’invenzione.
Naturalmente alla luce di questi presupposti è facile rendersi conto di come una definizione precisa, univoca e completamente esente da elementi soggettivi del concetto di attività inventiva sia praticamente impossibile, e che, qualunque definizione si voglia dare di essa, alla fine rischia sempre di ridursi ad una specie di tautologia (è inventivo ciò che non è ovvio per il tecnico del ramo), anche perché le differenze che supporterebbero la presunta attività inventiva non sono mai definibili e quantificabili in termini esatti a priori, ovvero prima che si presentino nel mondo della tecnica per essere valutate in sé. Ciò di fatto ha consentito che, nella pratica, l’attività inventiva necessaria per supportare la concessione del brevetto si configurasse come un concetto piuttosto indefinito, nonché suscettibile di svariate interpretazioni, e che per conseguenza anche i criteri adottati per la sua valutazione non potessero essere del tutto chiari e univoci, e semmai fossero a volte alquanto ambigui, così da diventare, almeno in parte e nonostante il riferimento alle previste e codificate base legali, materia di politica adottata nel tempo dai vari uffici brevetti, e da essere inoltre soggetti, come cercherò di analizzare più da vicino, anche a condizionamenti culturali e perché no filosofici.
A questo punto e senza pretendere di volere fare una trattazione esaustiva, cosa che sicuramente è già stata fatta altrove, vorrei solo cercare di analizzare alcune fra le varie ragioni, come detto più segnatamente culturali, quindi certamente non le uniche e nemmeno le più importanti, che hanno fatto e fanno sì che il giudizio di livello inventivo, ovvero della soglia o standard o livello minimo di attività inventiva richiesta per ottenere la protezione brevettuale, sovente venga interpretato ed attuato in modi e con sfumature diverse presso i due principali istituti di riferimento, ovvero l’EPO e l’USPTO. Le basi legali nell’EPC, per tale valutazione, si trovano primariamente all’articolo 51 EPC che recita : “ I brevetti europei sono concessi per le invenzioni nuove che implicano un’attività inventiva e .........”, e all’Art. 56 EPC che a sua volta recita : “ Un’invenzione è considerata come implicante un’attività inventiva, se, avendo riguardo allo stato della tecnica, essa non è ovvia per una persona esperta del ramo. ..................” Negli USA le basi legali si trovano invece all’articolo 35 U.S.C. § 103(a), che recita così : “ Un brevetto può non essere concesso ……………, se le differenze fra la materia che si vuole brevettare e l’arte nota sono tali che la materia nel suo complesso sarebbe stata ovvia al tempo in cui l’invenzione fu fatta a una persona avente una ordinaria capacità nel settore attinente a tale materia…” Ci troviamo quindi davanti a due formulazioni, rispettivamente nell’EPC e nella legge USA, dell’attività inventiva richiesta ai fini della concessione del brevetto, che almeno apparentemente si equivalgono, e che tra l’altro confermano con i rispettivi dettati anche una comune difficoltà di uscire dalla mera espressione tautologica. Detto questo, quando però passiamo dal piano dell’enunciazione teorica e formale a quello della pratica, spesso non possiamo non percepire una certa e sensibile differenza fra l’EPO e lo USPTO nel modo in cui queste due formulazioni, apparentemente simili, vengono applicate e interpretate nel valutare il livello di attività inventiva associata ad un nuovo trovato, anche qualora questa valutazione si fondi su e parta dagli stessi pezzi di arte nota.
Ma, qualunque sia la loro causa, queste differenze fra l’EPO e lo USPTO, nell’approccio e nella successiva gestione delle domande di brevetto, di fatto esistono e si manifestano anche di frequente, e pertanto di esse dobbiamo saggiamente tenere conto, se, come si diceva prima, vogliamo portare onorevolmente a casa il brevetto. Considerando per primo l’EPO, sappiamo che esso, nell’intento di dare la massima oggettività possibile al concetto di attività inventiva così da ridurre il margine di incertezza nella sua valutazione, sia durante l’esame sostanziale della domanda di brevetto, sia durante un’eventuale procedura di opposizione contro il brevetto già concesso, ha stabilito e codificato nelle Guidelines il cosiddetto “Problem and Solution Approach” (PSA), su cui non mi dilungherò oltre, essendo i relativi concetti chiave ampiamente noti a tutti.
Dirò solo che il PSA prevede, in una fase preliminare e preparatoria alla fase di valutazione vera e propria della presenza o meno dell’attività inventiva, una specie di ragionamento o schematizzazione razionale da applicarsi sulla realtà che si ha di fronte e che si deve criticamente considerare, costituita da una parte dall’arte nota e dall’altra dal nuovo trovato, in cui questo ragionamento è configurato come un filo logico e concettuale che si snoda fra differenze tecniche, effetto tecnico associato a queste differenze tecniche, e conseguente oggettivo problema tecnico da risolvere. Ebbene, in questo ragionamento preliminare, che cerca di astrarre da una mera serie di fatti e situazioni particolari, a volte apparentemente slegati fra loro, per dedurre ed arrivare comunque a definire dei concetti generali, tali da porre in una luce nuova e razionale gli stessi fatti, mi sembra di vedere un influsso importante e non trascurabile di quella parte della nostra tradizione filosofica e culturale, che da sempre si è orientata e si è identificata nella ricerca delle “ragioni”, dei ”concetti” e della “sostanza” che stanno dietro al mondo meramente materiale dei fatti, trascendendo dal loro stato empirico e dall’immediatezza nella quale essi si manifestano in natura.
Non c’è, forse, in questo modo molto razionale e concettuale di porre il problema della valutazione dell’attività inventiva, una qualche sparuta e sfumata traccia di quella cultura europea che ha prodotto filosofi quali Leibnitz, Kant, Hegel (non a caso tedeschi, come lo è in fondo lo stesso EPO, nel suo DNA) e molti altri, i quali hanno cercato con il loro pensiero di dare una visione unitaria e razionale del mondo(Weltanschauung), che fosse anche in grado di fornire una spiegazione dei fatti che in esso accadono, e che quindi andasse ben oltre la loro mera associazione empirica ? Lo stesso PSA non ricorda vagamente per il modo e le fasi attraverso cui si sviluppa, a partire da una serie di premesse iniziali per arrivare attraverso successive deduzioni ad una logica e necessaria conclusione, il classico sillogismo di aristotelica memoria?
Ne discende che in questo contesto e con i suddetti presupposti culturali e filosofici, un ragionamento chiaro, razionale, logico, preferibilmente sviluppato sulle linee del PSA, riesce quasi sempre ad essere persuasivo ed in sé sufficiente per l’esaminatore europeo, così come lo sviluppare e il sostenere con quest’ultimo argomentazioni basate su concetti e astrazioni quali quello di “oggettivo problema tecnico” costituisce una prassi normale che, oltre ad essere molto efficace per difendere l’invenzione, difficilmente rischia di essere fraintesa, anche solo parzialmente, dallo stesso esaminatore. Se passiamo ora a considerare cosa avviene all’USPTO, non possiamo non notare una qualche sensibile differenza rispetto all’EPO. Innanzitutto, dovendo difendere di fronte all’esaminatore USA il livello inventivo di un trovato, non è assolutamente scontato e sicuro che si possano utilizzare con successo, pur in rapporto agli stessi documenti e pezzi di arte nota, le medesime regole e argomentazioni già risultate convincenti per l’esaminatore dell’EPO.
In particolare, nella valutazione dell’attività inventiva, l’esaminatore americano appare orientato, almeno in prima battuta e di sua spontanea volontà, a considerare e combinare i vari pezzi di arte nota basandosi principalmente sulla loro apparenza immediata, ovvero su quello che tali pezzi di arte nota mostrano e rivelano all’esperto tecnico del ramo in modo diretto, quasi fossero dei fatti o delle sensazioni con cui quest’ultimo ha un rapporto essenzialmente empirico ed immediato. Quindi, in questo contesto, il tecnico esperto del ramo, quale viene evocato dall’USPTO per stabilire se sussiste o meno l’attività inventiva, si presenta come una figura che riceve e percepisce in modo abbastanza asettico e passivo i fatti che gli offre l’arte nota, e che almeno come prima reazione tende meramente ad associarli, in modo quasi automatico ed empirico, come se egli fosse un artigiano e i pezzi di arte nota non fossero altro che degli attrezzi utili per il suo lavoro appesi alle pareti del suo laboratorio.
Ed è comunque indubbio che questo tecnico del ramo corrisponde, almeno nella prassi dell’USPTO, ad una figura che possiede in scarsa misura la cultura e la forma mentis necessaria per muoversi alla ricerca di speciali e recondite ragioni, come anche per apprezzare in pieno predeterminate schematizzazioni logiche e teoriche, che in qualche modo astraggano dalla pura rappresentazione dei fatti stessi. E’ pur vero che il “Manual of Patent Examining Procedure“ dell’USPTO espone una casistica molto ampia di criteri e linee guida utilizzabili per la valutazione dell’ovvietà e dell’attività inventiva, ma d’altra parte è pur vero che questi criteri di valutazione si basano su e derivano sempre da casi particolari, puntigliosamente citati nel Manual, come se essi fossero indissolubilmente legati allo specifico contesto fattuale dal quale provengono, ed in ogni caso questi criteri appaiono essere ben lontani dal proporre una teoria di ampia portata, articolata su concetti generali ed equivalente in qualche modo al PSA dell’EPO.
Riassumendo, in confronto con l’esaminatore europeo, l’esaminatore americano spesso appare incapace, almeno in prima istanza, dovendo valutare il requisito dell’attività inventiva, di identificare, approfondire e comprendere tutte quelle ragioni e quei concetti generali, implicanti un certo grado di astrazione e per questo spesso non immediatamente riconoscibili, che potrebbero essere o di ostacolo o di supporto alla combinazione dei vari pezzi di arte nota, cosicché diventa necessario il più delle volte assumere un ben diverso approccio, rispetto all’esame all’EPO, per difendere e dimostrare la presenza dell’attività inventiva. Ebbene questo differente modo di porsi e di reagire dell’esaminatore USA rispetto all’esaminatore europeo, pur al confronto con identici documenti di arte nota, non appare forse in qualche modo condizionato da quella cultura anglosassone, notoriamente empirica e pragmatica, nel cui contesto ovviamente è nato, si è sviluppato ed attualmente opera l’USPTO americano?
Ovvero da quella stessa cultura anglo-sassone nel cui ambito si sviluppò la corrente filosofica dell’empirismo che, in contrapposizione al razionalismo, considerò tutta la conoscenza derivata dall’esperienza, e che in particolare produsse filosofi quali Hume che, come si ricorderà, critico e negò la sostanza del “principio di causalità”, tanto caro alla cultura e filosofia classica dei Leibnitz e degli Hegel, tutta all’opposto orientata alla ricerca dei principi e della sostanza delle cose, riducendolo ad una mera associazione mentale di idee di origine empirica ? Pertanto quello che potrebbe bastare ed essere più che sufficiente per l’EPO ai fini del riconoscimento della presenza dell’attività inventiva in un’invenzione, in quanto da considerare non ovvia e fuori dalla capacità del tecnico del ramo che ragioni secondo il filo logico e astratto del PSA, potrebbe risultare insufficiente per l’esaminatore americano, predisposto culturalmente a valutare i fatti e le differenze rispetto all’arte nota in modo empirico, e direi spesso semplicemente a elencarli e numerarli, per come appaiono e si presentano, senza cercare almeno come atteggiamento immediato di legarli nell’ambito di schema logico e razionale.
Questo fa sì che non ci dobbiamo stupire più di tanto se a volte ci capita di portare agevolmente a concessione un brevetto all’EPO, quando invece abbiamo dovuto superare non poche difficoltà e introdurre spesso delle limitazioni durante la corrispondente procedura all’USPTO, e viceversa di sperimentare una soglia di livello inventivo almeno apparentemente e insolitamente bassa, quale richiesta dall’USPTO per concedere il brevetto negli USA, laddove al contrario abbiamo dovuto fare degli sforzi notevoli e sovente introdurre della significative limitazioni per dimostrare di avere raggiunto tale soglia e quindi arrivare ad ottenere il brevetto all’EPO. Nel fare queste riflessioni, mi viene in particolare in mente un caso che mi capitò di gestire e che riguardava una speciale stampante predisposta per operare in due assetti alternativi, rispettivamente uno orizzontale e uno verticale, e quindi per svolgere le sue tipiche funzioni di stampante in entrambi gli assetti, ovvero ricevere un foglio di carta da un rispettivo magazzino o cassetto di alimentazione, convogliarlo lungo un percorso di stampa, stamparlo, e infine rilasciare il foglio stampato su un cassetto di raccolta.
Tra l’altro questo caso si presentava come molto promettente per cercare di ottenere uno di quei brevetti, di ampia portata e di tipo funzionale, che poi sovente nella pratica si dimostrano essere i più forti e i più facilmente leggibili su un prodotto in eventuale contraffazione del brevetto stesso. Ora, per l’esaminatore europeo, abituato a ragionare in modo astratto e per concetti, in particolare secondo le linee guida del PSA, fu immediatamente chiaro che questa speciale stampante soddisfaceva il requisito dell’attività inventiva, pur se messa a confronto con una serie di documenti di arte nota che in effetti ne annunciavano tutte le caratteristiche, almeno se considerate per sé e slegate le une dalle altre, per cui fu relativamente facile ottenere subito l’ampia protezione desiderata.
All’opposto totalmente diversa fu la posizione iniziale assunta dall’esaminatore americano che, nonostante avesse di fronte a sé gli stessi documenti di arte nota esaminati dall’EPO, subito ritenne assolutamente ovvia e priva di originalità la stampante proposta, e più in generale reagì in un modo che lasciava intravedere ben poche speranze di potere ottenere il brevetto. Solo dopo accurate argomentazioni, condotte puntando più a sottolineare delle manchevolezze e imprecisioni nelle varie “disclosures” dell’arte nota, considerate singolarmente, piuttosto che a cercare di esporre un ragionamento articolato su concetti generali, quale quello di “oggettivo problema tecnico”, fu possibile mitigare la posizione inizialmente assunta dall’esaminatore e convincerlo in qualche modo che i documenti di arte nota non erano poi così direttamente e facilmente combinabili dal tecnico del ramo, per cui alla fine fu possibile ottenere anche negli USA una protezione all’incirca equivalente a quella ampia e funzionale del brevetto europeo. Comunque in quell’occasione, come del resto già in altre, avvertii chiaramente come l’esaminatore americano fosse condizionato da una specie di barriera culturale che in qualche modo gli impediva di apprezzare e comprendere, almeno subito ed in maniera spontanea, quei concetti, ancorché astratti e tipici del PSA, che sono normalmente spesi e che risultano molto efficaci nella discussione di fronte all’EPO per difendere il livello inventivo di un trovato.
Ottimisticamente spero con queste considerazioni di avere dato un piccolo contributo, ancorché insolito e di questo ne sono perfettamente consapevole, ad approfondire alcuni aspetti riguardanti la prassi della valutazione dell’attività inventiva, all’EPO e all’USPTO, anche se molto più probabilmente ho solo contribuito a portare un po’ confusione. In ogni caso non vorrei dilungarmi e continuare oltre la discussione su questo tema, anche perché essa potrebbe portarci veramente molto lontano e rischiare di diventare infinita, per collegarsi in ultima analisi, almeno sul piano del ragionamento filosofico, ad altri e ben più grandi interrogativi, quali l’eterna vexata quaestio, peraltro destinata a non trovare mai una soluzione compiuta, se le idee e i concetti elaborati dall’uomo hanno un valore assoluto e autonomo in sé, e quindi in quanto tali sono da considerare come i veri termini di riferimento e di spiegazione per le cose e i fatti del mondo, inclusa la tecnica, ed allora forse in questo primo caso la prassi seguita dall’EPO potrebbe sembrare, se non altro, un po’ più raffinata ed approfondita, oppure se l’unica e vera realtà è da sempre costituita dal mondo delle cose e dei fatti, e quindi le idee e i concetti dell’uomo non possono che essere, e lo saranno sempre, una imperfetta rappresentazione e spiegazione di questi ultimi, e allora forse in questo secondo caso la prassi seguita dall’USPTO potrebbe sembrare anche più giusta ed appropriata.